Investire sfruttando a proprio favore l’asimmetria informativa

Molto spesso si parla in Italia di asimmetria informativa. A cosa si fa riferimento?

Ci si riferisce ad una trattativa nella quale una delle parti ha maggiori informazioni dell’altra e riesce a sfruttarle a proprio favore per ottenere condizioni migliori di quelle che otterrebbe in un mercato nel quale tutti avessero le stesse conoscenze.

Questo fenomeno, presente comunemente in un qualsiasi mercato, viene citato frequentemente come una delle cause delle difficoltà che incontrano i risparmiatori italiani quando si confrontano con intermediari finanziari.

A causa della insufficiente educazione finanziaria dei clienti, le controparti nel settore finanziario ed assicurativo (parlo del settore assicurativo che si occupa di copertura di rischi per privati e di risparmio gestito e previdenza) godono di un elevato vantaggio competitivo.

Un esempio estremamente semplice e probabilmente conosciuto da molti si sta verificando proprio in questo periodo in Italia: un importante banca europea ha in atto una campagna promozionale in Italia per acquisire clienti tramite c/c remunerati a tassi “apparentemente” fuori mercato per le banche nostrane. Ora, un mio cliente, informato della promozione, mi ha fatto notare come alcuni suoi amici abbiano “bollato” come rischiosa una banca che offra tassi di questo tipo.

Questo modo di pensare è sicuramente saggio, tuttavia per valutare se si tratta in questo caso di una banca “rischiosa” e dunque di un’offerta potenzialmente pericolosa, è necessario approfondire il mercato della raccolta a breve termine in Italia e la solvibilità della proponente stessa, che – togliamo subito il dubbio – è una delle più importanti e capitalizzate banche europee.

Ebbene, in questo periodo il tasso euribor ad un mese, che indica il corrispettivo praticato sul mercato interbancario per raccolta con questa durata è pari al 3,65%, mentre era al 3,85% ad inizio 2024, questi tassi consentono di remunerare la liquidità in c/c a tassi tra il 2 e il 3% senza regalare nulla.

Del resto, pur senza ottenere alcun risultato, la stessa Banca d’Italia ha più volte richiamato le banche italiane ad una maggiore attenzione alla forbice tra i tassi applicati sulla raccolta e quelli applicati sulle operazioni di prestito alla clientela.

Tant’è vero che il Governo, lo scorso anno, pensando di racimolare qualche ulteriore entrata, decise di introdurre una tassazione aggiuntiva sugli “extra profitti” maturati dal sistema bancario a seguito dei rialzi dei tassi a breve termine non girati ai clienti e del conseguente rialzo dei tassi sui prestiti a tasso variabile o sulle nuove erogazioni (subito invece applicati ai clienti stessi). Solo che, purtroppo, in sede di conversione del decreto, qualcuno pretese ed ottenne di subordinare la tassazione alla distribuzione di utili, con la prevedibile conseguenza che le banche, anziché far partecipare lo Stato e di conseguenza tutti i cittadini, al lauto banchetto, non abbiano fatto altro che aumentare le loro riserve patrimoniali, sempre comode in caso di difficoltà future.

L’esempio tratta del differenziale di interesse, tecnicamente definito spread, tra i tassi pagati ed incassati dalle banche, ma l’asimmetria informativa è presente in quasi tutti i casi nei quali il cliente si trova a prendere decisioni con il suo interlocutore bancario per investire, per assicurarsi o finanziarsi.

L’asimmetria informativa è “sfruttata” dal sistema finanziario per mantenere o addirittura migliorare i margini nei sui rapporti contrattuali, rendendo difficile per il cliente scegliere il proprio tornaconto.

Ora, con questo articolo propongo un modo diverso e utile agli investitori per condividere, almeno parzialmente, i vantaggi che l’asimmetria informativa fornisce alle banche e di conseguenza agli azionisti e a tutto il “personale” coinvolto nel processo distributivo.

Ho messo tra virgolette il termine “personale”, perché a godere di detti vantaggi sono, oltre che i dipendenti bancari propriamente detti, anche agenti di assicurazione, subagenti, consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede (ex promotori), e i mediatori creditizi.

Come sfruttare questo come investitori?

In primo luogo avendo sempre chiaro il nostro ruolo sia quando siamo clienti, sia se decidessimo di diventare azionisti delle banche.

Alcune premesse vanno fatte a questo riguardo:

  • innanzitutto va detto che questo è un articolo che ha lo scopo di evidenziare un’opportunità creata da un mercato “poco efficiente”, non si tratta di un consiglio generalizzato, ed ognuno dovrà valutare con il proprio Consulente finanziario autonomo o con approfondite informazioni aggiuntive se e come trasformare il suggerimento che segue in operazioni di investimento;
  • acquistare azioni presuppone una adeguata conoscenza dello strumento, quindi non consiglio l’acquisto a chi non l’abbia mai fatto e non saprebbe valutarne i rischi;
  • molti investitori hanno nei loro portafogli fondi azionari, etf, singole azioni, o fondi assicurativi con importanti quote azionarie, tuttavia che vi è molta differenza tra acquistare un fondo azionario, un etf o singole azioni, in quest’ultimo caso si corre il “cosiddetto rischio specifico” il rischio cioè di incappare in aziende che in futuro potrebbero avere problemi sul mercato tali da far perdere valore al loro investimento, fino ad azzerarsi in casi limite.

Ne sanno qualcosa, dalle mie parti, i vecchi azionisti di Banca Marche, che persero tutto il capitale investito salvo poi essere parzialmente risarciti, con soldi di tutti i contribuenti, nella misura del 40%.

Quindi investire in singole azioni è rischioso, non consiglio di farlo a chi non lo ha mai fatto e non comprende tutte le implicazioni del caso.

Per coloro che invece ritengono interessante il mio ragionamento, consiglio di effettuare un ulteriore selezione.

Il fenomeno di cui stiamo parlando è generalizzato per il mercato finanziario italiano, tuttavia io prediligo investire in banche specializzate nella distribuzione di prodotti finanziari e poco attive invece nei finanziamenti a famiglie e aziende.

Questo perché finanziare imprese e famiglie equivale a legarsi a doppio filo alle congiunture economiche dell’intero Paese, invece in questo caso, ho intenzione di privilegiare un settore di nicchia del sistema bancario, quello che ha principalmente ricavi legati alla vendita di prodotti finanziari e alla gestione del risparmio.

Vi è in atto da anni un trend che favorisce banche-reti, così definite perché  utilizzano “reti di cfaofs” anziché filiali tradizionali per la loro attività.

Il business di questa particolare tipologia di banca è più soggetto degli altri alle fluttuazioni dei mercati finanziari, il ribasso dei mercati produce minori margini in commissioni di performance, riduce le masse dove vengono applicate le commissioni e induce i clienti a prendere meno rischi; tuttavia la loro organizzazione riduce i costi fissi e in parte assorbe i minori margini con minori commissioni pagate agli agenti.

Sono casi perfetti per il mio ragionamento i seguenti titoli: Banca Mediolanum, Banca Fineco, Azimut, Banca Generali e Credito Emiliano.

L’ultima dell’elenco merita qualche informazione aggiuntiva. Parliamo apparentemente di una banca regionale come altre, che includo nella selezione per due motivi:

  • perché controlla società di gestione del risparmio e di distribuzione finanziaria;
  • perché è una banca estremamente attenta alla qualità dei crediti, “prestando” a privati ed aziende con molta più selettività rispetto ad altri competitor.

L’elenco sopra riportato prevede 5 titoli, ma potremmo allargare la selezione inserendo il titolo Poste Italiane, ed in questo caso il paniere diverrebbe più diversificato e meno volatile rispetto agli andamenti dei mercati finanziari.

Poste Italiane sta rapidamente trasformandosi in player finanziario, grazie al sempre maggior contributo agli utili dato dalla vendita dei prodotti finanziari e dalla gestione della omonima compagnia assicurativa, a differenza di quanto avveniva nel passato, quando un peso maggiore era fornito dalla consegna di posta e piccoli pacchi.

Se qualcuno volesse cimentarsi in questo investimento, che dovrebbe sempre limitarsi ad una piccola quota dell’intero investimento azionario, potrebbe dividere la somma in 5 oppure 6 quote.

Annualmente oltre alle oscillazioni di valore tipiche dell’azionario, avrebbe dividendi lordi che ai valori di oggi equivalgono al 5,58% lordo del valore investito escludendo dal paniere Poste Italiane, 5,75% nel caso venga inclusa.

I dividendi sono variabili nel tempo, quindi questo dato potrebbe oscillare in maniera significativa, anche se il trend di questo piccolo paniere è in crescita da anni.

Maggiore è la concentrazione del rischio in un unico titolo o settore, maggiore sarà il rischio.

 Quindi attenzione sempre a dove investire e per quale obiettivo.

Investire diversificando  in azioni dei principali paesi industrializzati è sicuramente meno rischioso che investire in un solo paese, a maggior ragione se parliamo di un settore specifico.

L’articolo ha lo scopo di evidenziare come ogni attività produca molteplici conseguenze per chi è cliente, azionista, od operatore del settore. Ogni soggetto economico ha interessi diversi rispetto al ruolo che riveste nell’operazione.

 

 

 

 

 

“Fee only” consulenza su base indipendente o gioco delle tre carte?

Nel precedente post riguardante i costi, avevo preannunciato una veloce spiegazione sulla modalità di consulenza utilizzata da molte banche e definita sommariamente “fee only”.

Con fee only, si dovrebbe intendere una consulenza che prevede solamente un corrispettivo con parcella.
Nella modalità di utilizzo più consueta invece, avviene questo:
la banca distribuisce prodotti finanziari propri e di terzi e viene remunerata tramite una % di commissioni retrocesse; nella modalità “fee only” questa % non sarebbe più di competenza della banca ma verrebbe stornata al cliente, in cambio di una commissione “consulenza”.

La banca evidenzia un addebito a fronte di un’ attività di consulenza su propri prodotti, ma consulenza “fee only” non significa “consulenza su base indipendente”?

  • Il regolamento Consob 20307 del 2018 stabilisce quando una consulenza può fregiarsi della denominazione “su base indipendente”, in tutti gli altri casi, non lo è.
  • I consulenti finanziari autonomi e le società di consulenza finanziaria valutano una congrua gamma di strumenti finanziari disponibili sul mercato, che devono essere sufficientemente diversificati in termini di tipologia ed emittenti o fornitori di prodotti.

 Quindi consigliare principalmente strumenti di un solo emittente non è possibile!

  • I consulenti finanziari autonomi e le società di consulenza finanziaria definiscono e attuano un processo di selezione allo scopo di valutare e confrontare una congrua gamma di strumenti finanziari disponibili sul mercato.

Il processo di selezione comprende i seguenti elementi:

1 – il numero e la varietà degli strumenti finanziari considerati sono proporzionati all’ambito del servizio di consulenza prestato;

2- il numero e la varietà degli strumenti finanziari considerati sono adeguatamente rappresentativi degli strumenti finanziari disponibili sul mercato;

3 – i criteri per la selezione dei vari strumenti finanziari comprendono tutti gli aspetti d’interesse, quali rischi, costi e complessità, nonché le caratteristiche dei clienti dei consulenti finanziari autonomi e delle società di consulenza finanziaria, e assicurano che la selezione degli strumenti che potrebbero essere raccomandati sia obiettiva.

Capisco che entrare in questi meccanismi sia complicato per chi non è un esperto della materia, il vostro interlocutore vi “giurerà” su ciò che ha di più caro che non vi è differenza tra un consulente finanziario autonomo (Cfa), che emette parcella e un Consulente finanziario abilitato all’offerta fuori sede (Cfaofs), che vi dirà che è la banca ad emettere parcella se desiderate pagare “solamente” la consulenza.

 Per togliervi ogni dubbio potete fare due semplici controlli:

 

 

Il costo della consulenza indipendente – confronti con i costi sostenuti per la consulenza strumentale alla vendita

Capita spesso di leggere articoli riguardanti i costi della consulenza finanziaria.

Prima di entrare nel dettaglio chiariamo che i costi possono essere espliciti, come la  parcella emessa da un Consulente finanziario autonomo, Cfa, libero professionista iscritto alla sezione consulenti autonomi dell’ocf, oppure da una Scf (società di consulenza finanziaria, anche una società per svolgere l’attività deve avvalersi di persone fisiche iscritte alla sezione sopra citata).

Oppure una parcella per consulenza non indipendente, ed in questo caso ad emetterla possono essere sia banche tradizionali, sia banche specializzate nella vendita di prodotti finanziari, sia Sim.

Nel caso l’attività venga svolta da una banca tradizionale presso le proprie filiali, non è indispensabile avvalersi di Consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede (Cfaofs), nel caso invece in cui queste attività vengano svolte fuori dalle filiali, è necessario avvalersi di un cfaofs.

Mai un cfaofs, a differenza di quanto sopra riportato per un Cfa, può emettere autonomamente fattura, ma sarà sempre un dipendente o un agente di commercio al servizio di una azienda mandante.

Questa distinzione è fondamentale perché troppo spesso si sente dire “ho il mio consulente!”; la denominazione utilizzata è corretta, sia pur estremamente abbreviata, ma basilare è capire chi paga quel consulente, e se non è il cliente, non può essere un Cfa.

Agli inizi della mia attività, oltre 20 anni fa, le banche cercavano di dissuadere i miei clienti dicendo: perché pagare per un servizio che la banca presta gratuitamente?

Chiaramente nulla viene offerto gratuitamente, ma è vero che in quegli anni era più difficile per un cliente conoscere quale costo implicito, cioè compreso tra tutti i costi addebitati, era proprio dell’attività di vendita dei prodotti e quale costo invece era quello necessario per l’attività di gestione vera e propria.

Dal 2018, per fortuna, con la direttiva Mifid 2, le cose sono notevolmente cambiate, ora le banche devono inviare, per posta cartacea o con comunicazioni online, il dettaglio dei costi pagati e la suddivisione tra componente relativa alla vendita e quella invece relativa alla gestione.

L’obbligo di inviare questa comunicazione esiste anche per i Cfa che ogni anno devono inviarla entro i due mesi successivi alla fine dell’anno solare; per le banche, meno strutturate e organizzate di un libero professionista, deve essere inviata entro 4 mesi.

Ironia a parte, l’obbligo di inviare la documentazione, ha tolto di mezzo il dubbio sul costo dell’attività prestata da filiali bancarie e Cfaofs.

Ora la difesa utilizzata da chi offre attività strumentale alla vendita dei prodotti è:

“I costi sono più o meno similari tra i clienti che scelgono le due diverse modalità di consulenza, ed anzi, se si unissero i costi veri e propri della consulenza su base indipendente ai costi che obbligatoriamente deve sostenere un cliente per mettere in pratica i consigli ricevuti, i due costi sarebbero equiparabili”.

Per smontare anche questa tesi, iniziamo a parlare di numeri e di %.

Il costo di un portafoglio “consigliato” da una banca o da una rete di Cfaofs può essere chiaramente molto diverso l’uno dall’altro, ma per esperienza possiamo considerare un costo dell’1,50% l’anno come un valore estremamente basso, un costo del 2% come un costo medio e costi superiori a questi valori, si arriva a volte a superare il 3-4%, come dei valori esorbitanti, giustificabili solamente con la necessità  di remunerare le reti di vendita.

Nella gestione del risparmio avviene infatti un fenomeno impensabile in altri settori, prodotti con qualità inferiore possono avere costi molto superiori a quelli da preferire.

Il costo della consulenza su base indipendente è lasciata alla libera trattazione tra il cliente e il libero professionista o la scf, possiamo comunque dire che un valore medio dell’1% l’anno sia quello più utilizzato per portafogli di entità media, tra i 200.000€ e i 500.000 €.

Se volessimo sommare a questo 1% anche i costi sostenuti per comprare gli strumenti finanziari e per la loro gestione, potremmo raggiungere valori medi omnicomprensivi intorno all’1,50%, valore sopra indicato come mediamente basso per un’attività di consulenza di tipo tradizionale.

Quindi, mal che vada, un cliente pagherebbe costi nella fascia bassa di prezzo.

Ma i vantaggi non finiscono qui anzi, aumentano anno dopo anno, vediamo il perché.

Un Cfa, svolge un importante lavoro nella fase iniziale di acquisizione del cliente, sia per attività burocratiche sia per conoscere e personalizzare l’attività di consulenza sulla base di quanto effettivamente utile alle esigenze del cliente, per questo motivo, capita molto spesso che il valore iniziale della parcella venga successivamente ridotto per tener conto del minor lavoro negli anni successivi.

Inoltre il Cfa, oltre a studiare singolarmente ogni posizione personale e familiare del cliente, aiuta lo stesso a scegliere l’intermediario con il rapporto qualità/prezzo migliore, attività che non sarebbe mai possibile chiedere ad una banca che, chiaramente, come primo requisito consiglierà di utilizzare propri prodotti e alle condizioni praticate.

L’attività svolta dal Cfa, attraversa fasi molto diverse dei mercati finanziari, delle politiche monetarie e delle politiche fiscali, avvalersi di un professionista senza vincoli di mandato può consentire di sfruttare remunerazioni su c/c e depositi più alti, rispetto alla banca tradizionalmente utilizzata, può consentire di scegliere strumenti finanziari con un più efficace trattamento fiscale, può consentire di rimanere liquidi quando le condizioni dei mercati lo consigliano, ecc.

Nel 2022, gran parte delle perdite dei portafogli si sono verificati perché banche e Cfaofs non “potevano” confessare una verità semplice ma sconveniente per il sistema bancario, non aveva alcun senso investire in obbligazioni, ne direttamente ne indirettamente, quando i tassi erano a zero o sotto zero, perché, come poi si è verificato, un rialzo dei rendimenti avrebbe procurato perdite estremamente elevate in relazione ai possibili rendimenti realizzabili in quel periodo storico.

Ma non è ancora tutto, vi è una motivazione più importante di tutti i confronti che si possono realizzare.

Utilizzare un Cfa fornisce al cliente una esperienza completamente nuova, apprenderà nozioni che gli saranno utili per tutta la vita e sarà affiancato e supportato io ogni sua scelta fin quando vorrà, ma nel momento che deciderà di proseguire da solo avrà un portafoglio con un costo irrisorio che sarà in grado di gestire in completa autonomia.

Continuare ad utilizzare la consulenza strumentale alla vendita significa invece avere sempre portafogli inefficienti, difficili da spostare tra intermediari e con costi che saranno sempre mediamente elevati.

Cumulative callable, non fatevi ingannare dal tasso!


Parafrasando un famoso detto africano:

“Ogni mattina in Africa, come sorge il sole, una gazzella si sveglia e sa che dovrà correre più del leone o verrà uccisa.

Ogni mattina in Africa, come sorge il sole, un leone si sveglia e sa che dovrà correre più della gazzella o morirà di fame.”

Possiamo adattare il detto anche al quotidiano scontro di interesse tra il risparmiatore, colui che vorrebbe investire alle migliori condizioni possibili i sui risparmi, e le banche o i debitori in generale, che vorrebbero avere prestiti a condizioni di favore.

Chi non vorrebbe ottenere il 5% netto da un debitore ultra sicuro, come per esempio uno stato con rating tripla AAA?

Il valore del tasso sopra indicato è un dato oggi impossibile da trovare in obbligazioni governative a tasso fisso con qualsiasi scadenza.

L’equilibrio tra tasso di interesse richiesto dai risparmiatori/investitori e quello concesso dai debitori si forma ogni giorno sul mercato, dove è possibile verificare quale è il punto di equilibrio.

Come abbiamo ben compreso negli ultimi dodici mesi questo equilibrio non è particolarmente stabile anzi, in particolari periodi, e l’ultimo anno è da prendere come esempio, un insieme di fattori possono spostare facilmente il punto di equilibrio molto più in alto o più in basso.

Chi acquista titoli di durata breve, per esempio i famosi Bot italiani, sa che ogni emissione ha il suo tasso e che quel titolo con moltissima probabilità verrà mantenuto fino alla scadenza, pertanto chi acquista oggi un Bot al 3,50% sa che questo sarà il suo risultato a scadenza, qualsiasi evento migliorativo o peggiorativo si presenti sul mercato dei tassi di interesse.

Viceversa, chi oggi acquista un titolo di durata decennale sa che il tasso fisso che oggi riesce ad ottenere, pur essendo più del doppio di quanto avrebbe ottenuto lo scorso anno, sarà più o meno remunerativo nel tempo in base alla futura evoluzione dei tassi di interesse.

Se i tassi saliranno, non avremo fatto l’investimento migliore in assoluto, mentre se i tassi tornassero a calare velocemente avremmo “azzeccato” la scelta migliore.

Chiaramente questo ragionamento sarebbe corretto solamente se fatto a scadenza, durante la vita decennale del titolo potrebbero esserci momenti più o meno favorevoli che si rifletteranno sul prezzo del nostro titolo sia in rialzo che in ribasso.

La difficoltà di prevedere se il tasso fisso oggi offerto sarà la scelta giusta per i prossimi 10 anni è un dilemma anche per il debitore, che da una parte ha la necessità di finanziarsi con titoli di media lunga durata, questo per evitare che in particolari momenti la sua disponibilità di cassa sia troppo esigua e sia costretto ad accettare sul mercato qualsiasi condizione, ma d’altro canto non vorrebbe oggi offrire un tasso fisso per un lungo periodo per evitare che un futuro calo dei tassi renda il finanziamento eccessivamente oneroso.

Le banche hanno la possibilità di ovviare al problema sopra esposto emettendo titoli con diverse scadenze e diverse tipologie di interessi.

Per esempio possono emettere titoli a tasso fisso, a tasso variabile, o combinazioni delle due (es. primi 2 anni tasso fisso in seguito tasso variabile).

Pur avendo molteplici strumenti per evitare di finanziarsi “male”, il mercato non fornisce certezze assolute ed ogni scelta presenta sempre pro e contro.

Oggi i risparmiatori, dopo anni di tassi estremamente bassi e dopo che nel 2022 i titoli estremamente lunghi avevano registrato crolli anche del 30/40%, sono attenti al tasso ma anche alle durate.

Difficile trovare equilibrio tra le esigenze delle due parti.

Un punto di equilibrio che non ricordo di aver visto nel passato viene proposto in questi giorni da due importanti banche estere: Goldman Sachs e Société Générale.

Entrambe hanno di recente emesso titoli con tassi nominali fissi particolarmente appetibili ma con condizioni che necessitano approfondimenti.  

 

GOLDMAN SACHS GROUP 6.20% 07/36 ( XS2567573899)
SOCIETE GENERALE 6.5% 08/38 ( XS2627680825)

Entrambi gli emittenti hanno rating A pertanto sono generalmente considerati estremamente affidabili dalle società che analizzano la solvibilità degli emittenti (ricordiamo che questo non esclude a priori il rischio emittente, come ben ricorderà chi incappò nel gruppo Lehman Brother anch’esso con rating A).

L’obbligazione di Goldman Sachs sarà quotata sul Mot, mentre quella di Société Générale su Euro Tlx.

Altra piccola differenza, ma da considerarsi marginale, è la durata prevista, 13 anni per GS mentre sono 15 quelli previsti da SG.

Quel che accomuna entrambi i bond sono invece la possibilità per l’emittente di rimborsare anticipatamente il prestito (ogni anno alla data di scadenza della cedola) e il pagamento delle cedole che avverrà in unica soluzione alla scadenza o al rimborso.

Torniamo ora alla premessa dell’articolo, la competizione è dura per tutti, Leone, Gazzella, banche e risparmiatori, ma quel che è importante comprendere è che affinché la competizione sia corretta è necessario che tutti giochino con le stesse opportunità.

Avete compreso l’importanza del passaggio dove sopra ho indicato che la cedola verrà liquidata alla scadenza o al rimborso anticipato?

Questo non avverrà in regime di capitalizzazione composta come spesso mi è capitato di notare per vecchi bond emessi in modalità One coupon (cioè come in questo caso con unica cedola a scadenza), ma il tasso di interesse sarà calcolato anno per anno come interesse semplice, vediamo cosa avverrà:

Nel riquadro qui sopra potete notare l’impatto che ha la capitalizzazione semplice nel calcolo del rendimento effettivo dei titoli (nell’esempio ho utilizzato l’obbligazione Gs, confrontata con un Btp avente analoga scadenza, BTP 01/03/16-01/09/36 Isin IT0005177909).

Si evidenzia come negli ultimi anni, il tasso effettivo netto sia addirittura a vantaggio del bond italiano che ha, per dovere di cronaca, un rating peggiore ma trattandosi di un emittente governativo gode di una diversa potenzialità normativa rispetto alle emittenti corporate.

Arriviamo al punto saliente dell’analisi:

vale la pena prendersi il rischio che l’emittente non rimborsi nei primi anni il titolo?

Questo evento sarebbe parzialmente a favore del cliente che otterrebbe buoni rendimenti ed il rimborso anticipato, ma per questo vantaggio dovrebbe rinunciare alla rivalutazione del titolo tipica dei bond a tasso fisso durante il calo dei tassi.

Quindi, grazie alla particolare struttura ideata per i due “cumulative callable”, gli emittenti potranno rimborsare il prestito al termine di ogni anno, senza correre il rischio che il tasso stabilito debba essere pagato per tutta la durata dell’obbligazione nel caso di riduzione dei tassi.

Se invece il titolo non venga inizialmente rimborsato, il cliente otterrà un tasso effettivo lordo vicino ai tassi attuali ma si troverà in portafoglio un titolo senza cedole e, in caso di rialzo dei tassi, con un prezzo di mercato molto basso.

Con cedole pagate annualmente il creditore avrebbe ogni anno un flusso monetario che potrebbe spendere o  reinvestire alle condizioni di mercato, in questo caso invece nessuna cedola verrà pagata fino al rimborso.

Per concludere, sono due obbligazioni estremamente rischiose, potenzialmente interessanti nel caso i tassi volgessero velocemente in ribasso, ma in cambio di un piccolo interesse aggiuntivo rispetto a scadenze a 3-4 anni, qui si rischia di rimanere incastrati per lunghi periodi.

Trasparenza, termine vietato in finanza?

Proviamo a fare un po’ di chiarezza, utilizzando termini semplici ed esempi pratici, visto che purtroppo, il nostro legislatore ed insieme a lui gli organismi preposti, non sembrano molto attenti all’argomento.

Quando si parla di “consulenza finanziaria” può capitare di indicare di tutto, vediamo il perché.

Il regolamento Consob n.20307/2018 ha disciplinato le modalità di erogazione del servizio di Consulenza finanziaria su base indipendente:

Possono erogare il servizio i consulenti finanziari autonomi e le società di consulenza finanziaria iscritte all’ Ocf.

Tali soggetti dovranno operare in assenza di conflitti di interesse, di vincoli contrattuali o legami con emittenti o distributori e dovranno essere remunerati esclusivamente dai clienti beneficiari del servizio.

Vi sono inoltre altri requisiti da rispettare:

  • Devono essere valutati una congrua gamma di strumenti finanziari disponibili sul mercato, che devono essere sufficientemente diversificati in termini di tipologia ed emittenti o fornitori di prodotti in modo tale da garantire che gli obiettivi di investimento del cliente siano opportunamente soddisfatti;
  • inoltre nel processo di selezione il numero e la varietà degli strumenti finanziari considerati siano proporzionati all’ambito del servizio di consulenza prestato, siano adeguatamente rappresentativi degli strumenti finanziari disponibili sul mercato e comprendono tutti gli aspetti d’interesse, quali rischi, costi e complessità, nonché le caratteristiche dei clienti in modo da assicura che la selezione degli strumenti che potrebbero essere raccomandati sia obiettiva;
  • Prima della prestazione del servizio, gli intermediari hanno l’obbligo di spiegare ai clienti in maniera chiara se e per quali motivi, la consulenza in materia di investimenti prestata si configura come indipendente o non indipendente e se è basata su un’analisi ampia o ristretta di categorie di strumenti finanziari. L’informativa, la quale è finalizzata ad agevolare gli investitori nella comprensione dei contenuti e del perimetro della consulenza ricevuta, deve inoltre contenere:

– una descrizione della gamma di strumenti finanziari oggetto delle raccomandazioni, inclusa l’indicazione dei rapporti intercorrenti tra il consulente e gli emittenti/fornitori di detti strumenti;

– una rappresentazione dei tipi di strumenti finanziari considerati, della gamma degli strumenti finanziari e dei fornitori analizzati per ciascuna tipologia in base all’ambito del servizio.

  • Nel caso di consulenza indipendente, in che modo sono soddisfatte le condizioni previste per la fornitura di tale consulenza e i fattori presi in considerazione nel processo di selezione adottato per raccomandare gli strumenti finanziari, quali i rischi, i costi e la complessità degli strumenti finanziari.
  • La prestazione del servizio di consulenza indipendente deve essere quindi proceduta dalla valutazione di un’ampia gamma di strumenti finanziari disponibili sul mercato, diversificati per tipologia di emittenti o fornitori di prodotti, in misura tale da garantire che gli obiettivi di investimento del cliente siano adeguatamente soddisfatti. In particolare, l’intermediario non può compromettere l’indipendenza della consulenza prestata limitandosi a raccomandare strumenti finanziari emessi/forniti dallo stesso o da altri soggetti legati al consulente da stretti rapporti contrattuali.
  • Agli intermediari è consentito svolgere contemporaneamente anche nei confronti di uno stesso cliente, sia la consulenza indipendente, sia la consulenza non indipendente ma sono richiesti in tal caso, oltre ad una informativa preventiva in merito alla tipologia di consulenza prestata, l’adozione di adeguati presidi organizzativi e controlli per assicurare che i due tipi di consulenza siano distinti, al fine di non ingenerare confusione ai clienti circa il tipo di consulenza ricevuta.

Quanto sopra evidenzia la complessità delle attività necessarie affinché il servizio possa essere considerato “su base indipendente”.

Consob con delibera n. 19548 del 17 marzo 2016, ha adottato nei propri atti regolamentari, le nuove denominazioni di consulente finanziario abilitato all’offerta fuori sede, abbreviato in Cfaofs (ex promotore finanziario); consulente finanziario autonomo, abbreviato in Cfa (in sostituzione di consulente finanziario) e albo unico dei consulenti finanziari, abbreviato in Ocf (in sostituzione di albo unico dei promotori finanziari).

Le differenze di ruolo sono molto chiare ma la denominazione utilizzata è volutamente ambigua e le banche, approfittandone, definiscono “consulenti” tutti coloro che partecipano al processo di vendita dei prodotti finanziari.

I Cfaofs sono remunerati con provvigioni, sono agenti di commercio iscritti all’ Enasarco e all’ Ocf nell’apposita sezione a loro riservata; la loro attività “di vendita” definita consulenza strumentale alla vendita, è parte dell’attività commerciale e come tale è esente da Iva.

Hanno obiettivi che sono strettamente collegati a quelli delle mandanti, chiaramente non dicono “veniamo pagati meglio se vendiamo quel che vogliono” ma nella realtà avviene proprio questo.

Cito un breve passo di un comunicato stampa relativo ai risultati conseguiti nel 2020 da una importante banca che si avvale di Cfaofs, dove questo fatto viene esplicitamente evidenziato;

“Da inizio anno la raccolta in prodotti consigliati e servizi ha raggiunto € x,x miliardi (+12,3% a/a), confermando l’apprezzamento da parte della clientela, con un’ incidenza rispetto al totale della raccolta gestita pari al 74%“.

Avete capito bene? Le scelte retributive, essendo agenti di commercio, hanno la meglio sul resto.

D’altra parte oltre 20 anni fa, quando ero in banca, i responsabili commerciali dicevano chiaramente: per fare risultati economici è necessario vendere prodotti ad alto margine!

Banche e Cfaofs, per cercare di scippare il termine “consulenza” ad altri professionisti, vendono servizi che aiutano il cliente nell’individuare strumenti e movimentarli nel tempo, spacciandoli spesso per “consulenza Indipendente”.

Non hanno però scelto la strada “impegnativa” sopra evidenziata perché questo li avrebbe costretti a smentire se stessi nelle varie fasi del processo. Per esempio, avrebbero consigliato nella Consulenza Indipendente uno strumento X quando al medesimo cliente, in una modalità “consulenza non indipendente” avrebbero consigliato altro.

Questo non è il mio pensiero, ma una precisa scelta del sistema bancario Italiano nel suo insieme. Spesso Consob e Sindacalisti importanti hanno spronato le banche al fine di attivare la “vera consulenza” ma la verità è che questa scelta penalizzerebbe i bilanci bancari.

Se non mi credete e pensate che sia di parte riporto integralmente quanto scritto dalla Fisac Cgil Unicredit, a pagina 4 di questo documento nel  paragrafo “CONSULENZA INDIPENDENTE O RISTRETTA”

È abbastanza?

No, ad aggravare la situazione si aggiunge l’utilizzo degli stessi termini per definire soggetti che svolgono attività di gestione ma non lo dichiarano apertamente.

Questo è uno degli esempi, ma non il solo.

La società in questione autorizzata da Consob con questa delibera svolge attività di gestione al pari di altre Sim italiane o estere autorizzate e non è iscritta alla sezione dell’Ocf riservato alle Scf, unico soggetto giuridico autorizzato a svolgere attività di consulenza indipendente.

L’attività di vendita non deve essere ne discriminata ne camuffata, è del tutto legittimo che in un mercato competitivo, vi siano diversi operatori che competano, importante far capire al cliente che qualsiasi attività svolta deve essere remunerata in modalità trasparente per il cliente.

Un indagine Consob del 2018, citata da Aduc in questo articolo, si evidenziava come l’82% degli italiani, a quella data, non sapevano che la consulenza fosse da loro pagata o non sapevano quantificare l’entità del compenso.

Sarà cambiato qualcosa in questi tre anni?

Risparmio, termine “vecchio” in epoca Criptovalute

Mi occupo di finanza, con professioni diverse, dal 1986; in questo lungo periodo le abitudini degli italiani sono profondamente cambiate in ogni ambito, non è quindi strano che questo sia avvenuto anche nelle modalità di risparmio e nel valore che questa pratica/abitudine riveste per la gran parte di noi nel 2021.

Ho frequentato le elementari negli anni 1967/1972, in quel periodo le Casse di Risparmio, enti senza scopo di lucro che avevano il compito di valorizzare il risparmio delle classi medio basse, attuavano diverse iniziative per incentivare questa pratica già dai primi anni della scuola.
Molti dei lettori della mia età ricorderanno i vari tipi di salvadanai che le Casse distribuivano ad inizio anno scolastico per favorire il risparmio delle monete e il loro seguente versamento in libretti di risparmio al portatore. Solo le casse avevano le chiavi per aprire i salvadanai!

L’immagine iniziale raffigura quello distribuito dalla più importante Cassa di Risparmio italiana.

Anche la comunicazione aveva lo scopo di favorire l’abitudine al risparmio, ricordo uno slogan, sempre delle Casse di Risparmio, “il denaro risparmiato è due volte guadagnato!”.
Nel tempo le abitudini cambiano, anche l’interesse delle banche per la liquidità muta a seconda dei periodi storici che si susseguono.

Ora viviamo da qualche anno in una situazione diametralmente opposta, la liquidità è talmente elevata che nessun istituto di credito, tranne rare eccezioni, è disposto a remunerarla. Questo scoraggia chi non è abituato a risparmiare; spesso mi sento dire: “inutile risparmiare tanto non si ottiene nulla sul c/c”.

Verissimo, ma l’importanza del risparmio va oltre il rendimento che la liquidità può generare. È importante risparmiare perché questo da disciplina all’uso delle risorse e consente di finanziare acquisti futuri o, nel peggiore dei casi, far fronte a imprevisti.
Vi sottopongo due esempi per evidenziare l’importanza del risparmio.

Poco tempo fa, una giovane coppia mi chiese consiglio riguardo alla ricerca di un mutuo ipotecario per acquistare un’abitazione, avevano pochissimi risparmi, quindi la ricerca aveva lo scopo di cercare mutui con la possibilità di finanziare quasi il 100% della spesa prevista per l’acquisto.
Banca Intesa, in questo momento applica queste condizioni:
tasso 1,10% fisso su durate di 20 anni per finanziamenti fino all’80% del valore dell’immobile;
tasso 1,90% fisso su durata di 20 anni per finanziamenti oltre all’80% del valore dell’immobile;

Ad oggi la differenza tra finanziare 100.000€ oppure 120.000€  per acquistare un immobile del valore di 130.000 €, produce nel caso del secondo finanziamento, maggiori interessi pari a € 32.885. Di questi, 22.288 sono dovuti al maggior importo da finanziare, e ben 10.597 al tasso applicato.

Un altro esempio; questa volta prendiamo in esame chi deve acquistare una moto o un’auto usata. Finanziare un importo pari a 7.000€ per queste finalità, costa di soli interessi, alle condizioni migliori oggi sul mercato, 1.100€ ca. Senza considerare costi per addebito rata in conto corrente o eventuali richieste dell’ente erogante, come polizze assicurative o garanzie ulteriori.

Risparmiare per tempo, prevedendo utilizzi futuri, da quindi notevoli vantaggi anche oggi che la liquidità non è remunerata.

Fra qualche giorno tornerò sul tema del risparmio per evidenziare la notevole importanza che questo riveste anche per una migliore gestione degli investimenti finanziari.

 

Buono Obiettivo 65

   

Come già scritto in precedenza parlando delle obbligazioni,  la ricerca di strumenti a reddito fisso per investire i propri risparmi, diventa sempre più difficile e oltremodo penalizzante.

In questo quadro anche Poste Italiane, leader di mercato nelle soluzioni a tasso fisso con lunghe durate, ha difficoltà a trovare strumenti appetibili per gli orfani dei vecchi Buoni Fruttiferi ventennali e dei Buoni decennali agganciati all’inflazione.

Come sempre avviene in questi casi, è necessario utilizzare un po’ di fantasia o di Marketing, mettetela come più vi piace, per presentare al meglio qualcosa che in altro formato, difficilmente avrebbe successo.

Per questo motivo, da qualche settimana Poste Italiane ha aggiunto una nuova tipologia di Buono Fruttifero a quelli già in distribuzione: Buono fruttifero Obiettivo 65.

Vediamo in breve di cosa si tratta:

Come gli altri buoni distribuiti, anche questo è emesso da Cassa Depositi e Prestiti con la garanzia dello stato Italiano, qui trovate il foglio informativo.

Può essere emesso in forma cartacea o dematerializzata, in quest’ultimo caso è possibile anche la sottoscrizione online.

La vita del buono si divide in due fasi:

  • accumulazione, fino al compimento del 65° anno di età del sottoscrittore,
  • rendita, dal 65° anno all’80°;

È possibile sottoscrivere il Buono dal 18° anno di età al compimento del 55°.

È sempre possibile ritirare anticipatamente la somma investita, fino al 3° anno senza remunerazione alcuna, in seguito ottenendo remunerazioni crescenti nel tempo che comunque non andranno oltre lo 0,75% lordo per chi lo ha detenuto per ben 46,5 anni!

La tassazione è, come di consueto, al 12,5%.

Al momento del rimborso verrà applicata l’imposta di bollo, attualmente pari allo 0,20% annuo.

Al fine di evitare che l’imposta di bollo possa erodere il valore iniziale, è previsto che qualora gli interessi maturati non coprano questa imposta, verrà restituito il valore inizialmente versato.

Al termine della fase di accumulo il capitale sarà rivalutato con il valore più alto ottenuto tramite i due seguenti metodi:

  • capitalizzazione semestrale in base ai tassi di interesse previsti, che vanno dall’ 1,00% all’1,30% lordo, in base alla durata della fase di accumulo; Tab B.
  • Capitalizzazione tramite applicazione dell’inflazione italiana di periodo, calcolata dall’ Istat con l’indice Foi.

Quest’ultimo caso, è a mio avviso, l’unico elemento di interesse del buono fruttifero, che è l’unico erede dei buoni fruttiferi legati all’inflazione emessi dal 2006 al 2019.

Al termine della fase di capitalizzazione, il capitale verrà trasformato al rendimento prefissato previsto dalla tab D, in una rendita mensile della durata di 15 anni.

Il rendimento previsto per la fase di rendita, sembrerebbe ad oggi appetibile, soprattutto per chi sottoscrive il prodotto in un’età tra i 50 e i 55 anni, a questi spetterebbe un rendimento lordo del 2,25%

Diverso il discorso per chi avesse optato per la sottoscrizione nel range di età 18 – 21 anni, perché avrebbe un rendimento lordo del 2,55% ma dovrebbe aspettare almeno 44 anni per poterlo sfruttare.

La caratteristica saliente di questo prodotto è abbinare una fase di capitalizzazione, con protezione dall’inflazione, ad un rimborso rateale, con metodo di calcolo simile a quello dei mutui a rata costante, con tasso fisso prefissato.

Le condizioni migliori per l’investitore si avrebbero nel caso di inflazione media, nel periodo di accumulo, superiore al tasso prefissato e bassa inflazione accompagnata da tassi fissi minori di quelli oggi previsti, per la fase di rendita.

Ci tengo ad evidenziare, oltre a rendimenti a mio avviso modesti per durate di accumulo superiori ai 20-25 anni, il forte impatto che l’imposta di bollo avrebbe nel caso di rimborso anticipato.

Un sottoscrittore che riscattasse il buono dopo un periodo di 10 anni (prima della fase di rendita), avrebbe un capitale rimborsato di ca 10.021 € al netto dell’imposta di bollo, portando a casa un rendimento di appena lo 0,02% annuo.

L’impatto dell’imposta di bollo sarebbe sempre estremamente penalizzante, anche per chi manterrà fino a scadenza il prodotto, ottenendo la rendita per 180 mesi.

In questo caso, maggiore sarà la durata complessiva della fase di accumulo, maggiore sarà l’impatto finale, infatti il bollo verrà pagato sul capitale anno per anno rimborsato, ma considerando la somma delle due fasi, accumulo e rendita, alcuni esempi:

Sottoscrittore di anni 54 Sottoscrittore di anni 44 Sottoscrittore di anni 18
bollo 1° anno rendita (0,20*11) bollo 1° anno (0,20*21) bollo 1° anno (0,20*47)
bollo ultimo anno  (0,20* 26) bollo  (0,20*36) bollo  (0,20*62)

 

Giusto rimarcare che l’imposta di bollo sarebbe la stessa di altri prodotti di investimento ma in questo caso produrrebbe effetti molto importanti sulla rendita e, possiamo dire, sulle aspettative dei beneficiari.

Quante obbligazioni vi sono nel vostro portafoglio?

cartella 5000 lire- rendita 5%

Pochi italiani sono in grado di quantificare correttamente di quanto calerebbe un titolo di stato a tasso fisso con durata residua di 10 anni, nel caso di rialzo dei tassi dell’1,0%, ma apparentemente un Titolo di Stato, conservato fino alla scadenza, viene considerato uno strumento privo di rischio.

Chiaramente, per analogia, anche le obbligazioni bancarie o societarie, per esempio di Enel, Eni, Ferrovie dello Stato, Telecom, sono state catalogate dai risparmiatori come scelte di investimento con basso rischio.

Ci sono volute le conseguenze della crisi economica del 2008/2009 e il conseguente fallimento di Lehman Brothers per far comprendere che anche le obbligazioni bancarie, considerate “sicure”, non lo sono.

Da circa 10 anni, una parte dei risparmiatori ha iniziato a comprendere come le obbligazioni subordinate (il cui rimborso a scadenza è subordinato all’effettiva capacità dell’emittente di rimborsare prioritariamente obbligazioni ordinarie), pur emesse da Banche, siano un investimento “rischioso”.

Tuttavia nell’ultimo quinquennio si è verificata una situazione sconosciuta a noi Italiani, ma probabilmente sconosciuta anche in altre aree del pianeta; tutte le obbligazioni, ma anche le varie forme di deposito bancario, sono oramai a tasso zero o vicino allo zero.

Qualche esempio nella tabella sottostante:

Descrizione Rendimento lordo Rischio cambio
Titoli di stato Usa a 5 anni             0,28%      eur/usd
Titoli di stato Gran Bretagna a 5 anni           -0.08%      eur/gbp
Titoli di stato Giappone a 5 anni           -0,14%      eur/jpy
Titoli di stato Tedeschi a 5 anni           -0,72%         –
Titoli di stato Italiani a 5 anni            0,26%         –

I titoli citati hanno rendimento negativo, tranne i titoli in $, che però per noi europei presentano il rischio cambio, e i titoli Italiani, che “pagano” di più a causa dello scarso livello di fiducia a noi riservato dai mercati.

Molto spesso, quando affronto questo tema con i risparmiatori questi mi rispondono: “non compriamo titoli di stato, dobbiamo cercare alternative”.

Semplice a dirsi, più difficile nella pratica costruire portafogli con sole azioni, o, ma cambia poco, con azioni ed obbligazioni ad alto rendimento.

Sono tutti strumenti estremamente volatili, che vanno utilizzati con cura, per evitare che, in situazioni avverse, un cliente possa decidere di disinvestire per paura di ulteriori perdite o perché non ha ben valutato la quantità di riserve da mantenere liquide.

Inoltre vi è un altro potenziale pericolo all’orizzonte, l’inflazione.

Molto spesso dopo periodi di espansione monetaria, nei quali prendere a prestito soldi costa molto poco, seguono periodi di elevata inflazione.

Questa facilita il compito dei debitori (quasi tutti gli stati del mondo) nel diminuire la quota di debito, ma al contempo penalizza fortemente chi ha mantenuto soldi liquidi o li ha utilizzati per investimenti di breve periodo.

Negli anni 70/80 in Italia vi fu un periodo in cui l’inflazione superò il 10% per bel 12 anni consecutivi, con punte massime nel 1974 del 19,2% e nel 1980 del 21,2%.

Vi lascio immaginare che impatto provocò questo fenomeno per chi aveva soldi liquidi sui c/c o obbligazioni decennali comprate prima ….

In quel periodo vennero favoriti i debitori, che vedevano ogni anno calare il valore reale del loro debito, a scapito di chi aveva risparmiato ma poi non aveva avuto il coraggio di utilizzare le risorse per investimenti in beni reali, (azioni, immobili, terreni).

Nessuno può prevedere se un fenomeno simile possa ripresentarsi ed eventualmente con quali proporzioni, di certo già oggi sappiamo che i nostri soldi non hanno la possibilità di essere investiti in strumenti a basso rischio, perché questi non rendono assolutamente nulla.

Quante obbligazioni vi sono nel vostro portafoglio? Quante obbligazioni sono presenti nei fondi comuni? di che tipologia sono? quando pensate vi possano servire i vostri risparmi? A cosa vorreste destinare i risparmi già accumulati e quelli in formazione? La vostra pensione è già al sicuro da rischi di elevata inflazione?

Farci delle domande e iniziare un percorso di formazione ed informazione che riguarda i temi della finanza è sempre la base per fare scelte consapevoli, ma oggi abbiamo un nemico alle porte, che sa nascondersi fino all’ultimo, fino a quando i danni non saranno più recuperabili.

FAM Global Defence FUND 2023: pubblicità ingannevole?

Ieri mi è capitato di leggere questa notizia tra le news di Fineco:

Fineco Asset Management, società’ irlandese di gestione del risparmio interamente partecipata da FinecoBank, annuncia il lancio di Fam Global Defence Fund 2023, un fondo a capitale interamente protetto. In una fase di mercato contraddistinta da volatilità e incertezza, FAM conferma così l’attenzione alle esigenze dei risparmiatori e la capacità di offrire loro risposte tempestive.”

Mi occupo di risparmi dal 1986, ne ho viste e sentite molte…quindi non mi scandalizzo, ma cerco di approfondire ogni notizia.
La prima cosa da fare in questi casi è cercare la documentazione ufficiale che deve accompagnare il prodotto.
Nella ricerca mi sono imbattuto in un video che lo pubblicizza.
https://www.youtube.com/watch?v=866LackqU0s

Che ne dite? Corriamo ad acquistarlo?

Le parole utilizzate nel video non credo siano corrette per presentare uno strumento di investimento pertanto, per darvi la possibilità di confrontare il testo pubblicitario con il Kiid, documento obbligatorio che deve contenere le informazioni chiave per l’investitore, riporterò sotto il testo pubblicitario e di seguito il contenuto del Kiid.

Contenuto delle pubblicità
In tempi di alta volatilità e di tassi negativi, dove la liquidità è penalizzata investire può sembrare difficile, ma non deve per forza esserlo. Fineco Asset Management, ti propone un fondo il cui obiettivo è preservare il 100% del tuo capitale con una durata di 3 anni, per far crescere il tuo investimento in modo sicuro ed in piena tranquillità.
Fam Global Defence protegge a scadenza il tuo capitale investito e ti offre inoltre una cedola fissa dell’1% tutti gli anni, già al netto dei costi, con un solido basket obbligazionario il tuo investimento generà cosi un rendimento atteso del 3% al termine dei 3 anni.
Valorizza i tuoi risparmi con una solida protezione!”

Nel video, al secondo 0,53 compare l’avvertenza, scritta per pochi attimi, “l’obiettivo non è garantito”;
avvertenze finali nel video, al minuto 1 e 15 (vi conviene bloccare il video;
al minuto 1 e 18, anche qui vi consiglio di bloccare il video.

Contenuto del KID
L’Obiettivo di investimento del Comparto consiste nel fornire agli Azionisti un Dividendo in ogni Data di pagamento dei dividendi e cercare di proteggere il Valore patrimoniale netto per Azione del Comparto affinché equivalga al 100% del Prezzo di offerta iniziale alla Data di scadenza.
Il Comparto è a gestione attiva. Non vi è alcuna garanzia che l’obiettivo di investimento venga effettivamente conseguito e gli investitori sono espressamente avvertiti che il Fondo non è un prodotto con capitale garantito.
Consigliato per investitori al dettaglio.
Per gli investitori che possono permettersi di accantonare il proprio capitale per il periodo di detenzione raccomandato di 3 anni
Che puntano ad ottenere un reddito nel periodo di detenzione raccomandato di 3 anni.
Che comprendono il rischio di perdita di una parte o della totalità del capitale investito.
Questo Fondo potrebbe non essere indicato per investitori che intendono richiedere il rimborso delle proprie partecipazioni nel periodo di detenzione raccomandato di 3 anni.

Spese
Spese di Sottoscrizione 2,00% (online 1,00%; entrambe possono essere azzerate dal collocatore).
Spese correnti 0,80%.
I cfaofs (consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede, cioè gli agenti di commercio, iscritti all’Ocf che per conto della mandante promuovono la vendita dei prodotti, possono azzerare completamente le commissione di sottoscrizione, ma non hanno nessun margine di manovra per le spese correnti)

Profilo di Rischio e di Rendimento
Il fondo ha un rischio 3 in una scala da 1 a 7, dove ad 1 corrisponde un rendimento potenziale inferiore e a 7 un rendimento potenziale superiore (a questa classe di rischio corrisponde una possibile volatilità media nel range ± 2/5%; questo per correttezza dovrebbe essere spiegato perché dopo il video che abbiamo visto non credo che un risparmiatore abbia chiaro questo concetto).

Ulteriori rischi significativi
Rischio connesso ai derivati: i derivati generano un effetto leva nel Comparto e potrebbero amplificarne i guadagni o le perdite in seguito alle variazioni del valore degli investimenti sottostanti.
Rischio di controparte: il fallimento delle controparti in derivati del Comparto, qualora gli accordi sul collaterale si rivelassero insufficienti per coprire tale rischio, può dare luogo a perdite.
Rischio di credito: il livello di protezione offerta dal Comparto non è garantito ed è sempre soggetto al rischio di default dell’emittente degli investimenti del fondo acquistati dal Comparto.
Rischio di concentrazione: a causa della composizione degli investimenti del fondo, il portafoglio del fondo può essere più concentrato geograficamente e/o settorialmente rispetto ad altri fondi di investimento con portafogli più diversificati.

Conclusioni
Non so, se si tratta di pubblicità ingannevole, lo decideranno le autorità competentidi certo ho impiegato qualche ora per trovare tutta la documentazione e parte di questa non è presente nel sito della società irlandese del gruppo Fineco.
Si tratta di un fondo che sarà investito principalmente in Italia, che potrà utilizzare anche strumenti rischiosi, come i derivati e soprattutto, non fornirà nessuna garanzia di risultato. Risultato che sarà ulteriormente penalizzato dalle eventuali spese di sottoscrizione e sarà pesantemente influenzato dallo spread della fase di avvio gestione.
Posso chiudere parafrasando… Un video (anche ben fatto) non fa un buon prodotto!

Nuovi strumenti finanziari – Fondo Chiuso di private equity per clienti retail – pro e contro

Azimut, uno dei principali operatori italiani del risparmio gestito quotato alla borsa di Milano, ha lanciato nei giorni scorsi il fondo di investimento chiuso denominato Azimut Demos 1’ nome che vuole indicare il processo di democratizzazione di una particolare tipologia di investimenti, quella in aziende non quotate di piccole dimensioni ( private equity) fino ad oggi appannaggio di investitori professionali o istituzionali.

Al di là delle roboanti parole utilizzate per pubblicizzarlo, vediamo le sue caratteristiche salienti.

Si tratta di un fondo chiuso e l’acquisto delle quote, a partire da 5.000 €, avverrà al collocamento che è iniziato in questi giorni e terminerà a fine luglio 2020, salvo il caso di chiusura anticipata.

Il Fondo ha come obiettivo il perseguimento di un ritorno assoluto attraverso operazioni di investimento e disinvestimento aventi principalmente ad oggetto: azioni, quote, obbligazioni di piccole medie imprese principalmente italiane, non quotate.  Il 100% potrà essere investito in strumenti di rischio.

Il fondo chiuso si differenzia dal fondo aperto in quanto non sarà possibile uscire dall’investimento prima della scadenza, prevista dopo 8 anni dal termine del collocamento, è inoltre presente la possibilità per la sgr di chiedere proroghe per complessivi altri 5 anni, per terminare le operazioni di vendita degli asset detenuti.

Nel collocamento sarà chiesta una commissione iniziale pari all’1% mentre la commissione di gestione sarà del 2,75%  annuo con sconti a partire dai 250.000 €.

E’ prevista una particolare tipologia di “commissione di incentivo” per i detentori di quote di classe B, riservate ad amministratori e manager della sgr, che una volta raggiunto il 35% di performance destina una quota fissa del 20% dell’extra rendimento ai soli titolari di queste quote, resta immutato la ripartizione pro quota dell’ulteriore 80%.

Nel corso della vita del fondo, le eventuali distribuzioni di valore avverranno con la modalità rimborso del capitale, questo per evitare di subire tassazioni di somme prima di aver ricevuto l’importo totale inizialmente investito.

Si tratta, inutile dirlo, di un investimento molto rischioso, come correttamente indicato nel prospetto informativo che si può scaricare nel sito, molto costoso e particolarmente illiquido.

Non e’ vero che si tratta del primo caso di fondo chiuso riservato al retail, in passato questa tipologia di strumenti fu presente nella versione fondo chiuso quotato su Borsa Italiana. Oggi tutti i prodotti lanciati agli inizi degli anni 2000 sono stati rimborsati, non tutti con soddisfazione degli investitori.

Infine credo siano palesemente censurabili le ottimistiche previsioni di rendimento lasciate intendere da Azimut nella campagna promozionale, dove ipotizza che l’utilizzo di questi strumenti possa apportare maggiori rendimenti nella misura dell’1,5-2% nel computo finale di un portafoglio. Uno strumento di questo tipo potrà essere utilizzato da investitori comunque consapevoli del rischio ed utilizzato per sostituire parte della quota oggi destinata ad azioni Italiane ed al limite europee; ipotizzando di dare un peso del 5% per ottenere un vantaggio dell’1,5% questo strumento dovrebbe rendere, ogni anno il 30% in più del mercato azionario, ipotizzando una quota del 10%, a mio avviso, esagerata, il vantaggio in termini di rendimento dovrebbe essere del 15% medio annuo…..

Nel complesso, lo trovo uno strumento ottimo per Azimut e per i suoi incaricati alla vendita, pessimo per un cliente.