Cumulative callable, non fatevi ingannare dal tasso!


Parafrasando un famoso detto africano:

“Ogni mattina in Africa, come sorge il sole, una gazzella si sveglia e sa che dovrà correre più del leone o verrà uccisa.

Ogni mattina in Africa, come sorge il sole, un leone si sveglia e sa che dovrà correre più della gazzella o morirà di fame.”

Possiamo adattare il detto anche al quotidiano scontro di interesse tra il risparmiatore, colui che vorrebbe investire alle migliori condizioni possibili i sui risparmi, e le banche o i debitori in generale, che vorrebbero avere prestiti a condizioni di favore.

Chi non vorrebbe ottenere il 5% netto da un debitore ultra sicuro, come per esempio uno stato con rating tripla AAA?

Il valore del tasso sopra indicato è un dato oggi impossibile da trovare in obbligazioni governative a tasso fisso con qualsiasi scadenza.

L’equilibrio tra tasso di interesse richiesto dai risparmiatori/investitori e quello concesso dai debitori si forma ogni giorno sul mercato, dove è possibile verificare quale è il punto di equilibrio.

Come abbiamo ben compreso negli ultimi dodici mesi questo equilibrio non è particolarmente stabile anzi, in particolari periodi, e l’ultimo anno è da prendere come esempio, un insieme di fattori possono spostare facilmente il punto di equilibrio molto più in alto o più in basso.

Chi acquista titoli di durata breve, per esempio i famosi Bot italiani, sa che ogni emissione ha il suo tasso e che quel titolo con moltissima probabilità verrà mantenuto fino alla scadenza, pertanto chi acquista oggi un Bot al 3,50% sa che questo sarà il suo risultato a scadenza, qualsiasi evento migliorativo o peggiorativo si presenti sul mercato dei tassi di interesse.

Viceversa, chi oggi acquista un titolo di durata decennale sa che il tasso fisso che oggi riesce ad ottenere, pur essendo più del doppio di quanto avrebbe ottenuto lo scorso anno, sarà più o meno remunerativo nel tempo in base alla futura evoluzione dei tassi di interesse.

Se i tassi saliranno, non avremo fatto l’investimento migliore in assoluto, mentre se i tassi tornassero a calare velocemente avremmo “azzeccato” la scelta migliore.

Chiaramente questo ragionamento sarebbe corretto solamente se fatto a scadenza, durante la vita decennale del titolo potrebbero esserci momenti più o meno favorevoli che si rifletteranno sul prezzo del nostro titolo sia in rialzo che in ribasso.

La difficoltà di prevedere se il tasso fisso oggi offerto sarà la scelta giusta per i prossimi 10 anni è un dilemma anche per il debitore, che da una parte ha la necessità di finanziarsi con titoli di media lunga durata, questo per evitare che in particolari momenti la sua disponibilità di cassa sia troppo esigua e sia costretto ad accettare sul mercato qualsiasi condizione, ma d’altro canto non vorrebbe oggi offrire un tasso fisso per un lungo periodo per evitare che un futuro calo dei tassi renda il finanziamento eccessivamente oneroso.

Le banche hanno la possibilità di ovviare al problema sopra esposto emettendo titoli con diverse scadenze e diverse tipologie di interessi.

Per esempio possono emettere titoli a tasso fisso, a tasso variabile, o combinazioni delle due (es. primi 2 anni tasso fisso in seguito tasso variabile).

Pur avendo molteplici strumenti per evitare di finanziarsi “male”, il mercato non fornisce certezze assolute ed ogni scelta presenta sempre pro e contro.

Oggi i risparmiatori, dopo anni di tassi estremamente bassi e dopo che nel 2022 i titoli estremamente lunghi avevano registrato crolli anche del 30/40%, sono attenti al tasso ma anche alle durate.

Difficile trovare equilibrio tra le esigenze delle due parti.

Un punto di equilibrio che non ricordo di aver visto nel passato viene proposto in questi giorni da due importanti banche estere: Goldman Sachs e Société Générale.

Entrambe hanno di recente emesso titoli con tassi nominali fissi particolarmente appetibili ma con condizioni che necessitano approfondimenti.  

 

GOLDMAN SACHS GROUP 6.20% 07/36 ( XS2567573899)
SOCIETE GENERALE 6.5% 08/38 ( XS2627680825)

Entrambi gli emittenti hanno rating A pertanto sono generalmente considerati estremamente affidabili dalle società che analizzano la solvibilità degli emittenti (ricordiamo che questo non esclude a priori il rischio emittente, come ben ricorderà chi incappò nel gruppo Lehman Brother anch’esso con rating A).

L’obbligazione di Goldman Sachs sarà quotata sul Mot, mentre quella di Société Générale su Euro Tlx.

Altra piccola differenza, ma da considerarsi marginale, è la durata prevista, 13 anni per GS mentre sono 15 quelli previsti da SG.

Quel che accomuna entrambi i bond sono invece la possibilità per l’emittente di rimborsare anticipatamente il prestito (ogni anno alla data di scadenza della cedola) e il pagamento delle cedole che avverrà in unica soluzione alla scadenza o al rimborso.

Torniamo ora alla premessa dell’articolo, la competizione è dura per tutti, Leone, Gazzella, banche e risparmiatori, ma quel che è importante comprendere è che affinché la competizione sia corretta è necessario che tutti giochino con le stesse opportunità.

Avete compreso l’importanza del passaggio dove sopra ho indicato che la cedola verrà liquidata alla scadenza o al rimborso anticipato?

Questo non avverrà in regime di capitalizzazione composta come spesso mi è capitato di notare per vecchi bond emessi in modalità One coupon (cioè come in questo caso con unica cedola a scadenza), ma il tasso di interesse sarà calcolato anno per anno come interesse semplice, vediamo cosa avverrà:

Nel riquadro qui sopra potete notare l’impatto che ha la capitalizzazione semplice nel calcolo del rendimento effettivo dei titoli (nell’esempio ho utilizzato l’obbligazione Gs, confrontata con un Btp avente analoga scadenza, BTP 01/03/16-01/09/36 Isin IT0005177909).

Si evidenzia come negli ultimi anni, il tasso effettivo netto sia addirittura a vantaggio del bond italiano che ha, per dovere di cronaca, un rating peggiore ma trattandosi di un emittente governativo gode di una diversa potenzialità normativa rispetto alle emittenti corporate.

Arriviamo al punto saliente dell’analisi:

vale la pena prendersi il rischio che l’emittente non rimborsi nei primi anni il titolo?

Questo evento sarebbe parzialmente a favore del cliente che otterrebbe buoni rendimenti ed il rimborso anticipato, ma per questo vantaggio dovrebbe rinunciare alla rivalutazione del titolo tipica dei bond a tasso fisso durante il calo dei tassi.

Quindi, grazie alla particolare struttura ideata per i due “cumulative callable”, gli emittenti potranno rimborsare il prestito al termine di ogni anno, senza correre il rischio che il tasso stabilito debba essere pagato per tutta la durata dell’obbligazione nel caso di riduzione dei tassi.

Se invece il titolo non venga inizialmente rimborsato, il cliente otterrà un tasso effettivo lordo vicino ai tassi attuali ma si troverà in portafoglio un titolo senza cedole e, in caso di rialzo dei tassi, con un prezzo di mercato molto basso.

Con cedole pagate annualmente il creditore avrebbe ogni anno un flusso monetario che potrebbe spendere o  reinvestire alle condizioni di mercato, in questo caso invece nessuna cedola verrà pagata fino al rimborso.

Per concludere, sono due obbligazioni estremamente rischiose, potenzialmente interessanti nel caso i tassi volgessero velocemente in ribasso, ma in cambio di un piccolo interesse aggiuntivo rispetto a scadenze a 3-4 anni, qui si rischia di rimanere incastrati per lunghi periodi.

Quante obbligazioni vi sono nel vostro portafoglio?

cartella 5000 lire- rendita 5%

Pochi italiani sono in grado di quantificare correttamente di quanto calerebbe un titolo di stato a tasso fisso con durata residua di 10 anni, nel caso di rialzo dei tassi dell’1,0%, ma apparentemente un Titolo di Stato, conservato fino alla scadenza, viene considerato uno strumento privo di rischio.

Chiaramente, per analogia, anche le obbligazioni bancarie o societarie, per esempio di Enel, Eni, Ferrovie dello Stato, Telecom, sono state catalogate dai risparmiatori come scelte di investimento con basso rischio.

Ci sono volute le conseguenze della crisi economica del 2008/2009 e il conseguente fallimento di Lehman Brothers per far comprendere che anche le obbligazioni bancarie, considerate “sicure”, non lo sono.

Da circa 10 anni, una parte dei risparmiatori ha iniziato a comprendere come le obbligazioni subordinate (il cui rimborso a scadenza è subordinato all’effettiva capacità dell’emittente di rimborsare prioritariamente obbligazioni ordinarie), pur emesse da Banche, siano un investimento “rischioso”.

Tuttavia nell’ultimo quinquennio si è verificata una situazione sconosciuta a noi Italiani, ma probabilmente sconosciuta anche in altre aree del pianeta; tutte le obbligazioni, ma anche le varie forme di deposito bancario, sono oramai a tasso zero o vicino allo zero.

Qualche esempio nella tabella sottostante:

Descrizione Rendimento lordo Rischio cambio
Titoli di stato Usa a 5 anni             0,28%      eur/usd
Titoli di stato Gran Bretagna a 5 anni           -0.08%      eur/gbp
Titoli di stato Giappone a 5 anni           -0,14%      eur/jpy
Titoli di stato Tedeschi a 5 anni           -0,72%         –
Titoli di stato Italiani a 5 anni            0,26%         –

I titoli citati hanno rendimento negativo, tranne i titoli in $, che però per noi europei presentano il rischio cambio, e i titoli Italiani, che “pagano” di più a causa dello scarso livello di fiducia a noi riservato dai mercati.

Molto spesso, quando affronto questo tema con i risparmiatori questi mi rispondono: “non compriamo titoli di stato, dobbiamo cercare alternative”.

Semplice a dirsi, più difficile nella pratica costruire portafogli con sole azioni, o, ma cambia poco, con azioni ed obbligazioni ad alto rendimento.

Sono tutti strumenti estremamente volatili, che vanno utilizzati con cura, per evitare che, in situazioni avverse, un cliente possa decidere di disinvestire per paura di ulteriori perdite o perché non ha ben valutato la quantità di riserve da mantenere liquide.

Inoltre vi è un altro potenziale pericolo all’orizzonte, l’inflazione.

Molto spesso dopo periodi di espansione monetaria, nei quali prendere a prestito soldi costa molto poco, seguono periodi di elevata inflazione.

Questa facilita il compito dei debitori (quasi tutti gli stati del mondo) nel diminuire la quota di debito, ma al contempo penalizza fortemente chi ha mantenuto soldi liquidi o li ha utilizzati per investimenti di breve periodo.

Negli anni 70/80 in Italia vi fu un periodo in cui l’inflazione superò il 10% per bel 12 anni consecutivi, con punte massime nel 1974 del 19,2% e nel 1980 del 21,2%.

Vi lascio immaginare che impatto provocò questo fenomeno per chi aveva soldi liquidi sui c/c o obbligazioni decennali comprate prima ….

In quel periodo vennero favoriti i debitori, che vedevano ogni anno calare il valore reale del loro debito, a scapito di chi aveva risparmiato ma poi non aveva avuto il coraggio di utilizzare le risorse per investimenti in beni reali, (azioni, immobili, terreni).

Nessuno può prevedere se un fenomeno simile possa ripresentarsi ed eventualmente con quali proporzioni, di certo già oggi sappiamo che i nostri soldi non hanno la possibilità di essere investiti in strumenti a basso rischio, perché questi non rendono assolutamente nulla.

Quante obbligazioni vi sono nel vostro portafoglio? Quante obbligazioni sono presenti nei fondi comuni? di che tipologia sono? quando pensate vi possano servire i vostri risparmi? A cosa vorreste destinare i risparmi già accumulati e quelli in formazione? La vostra pensione è già al sicuro da rischi di elevata inflazione?

Farci delle domande e iniziare un percorso di formazione ed informazione che riguarda i temi della finanza è sempre la base per fare scelte consapevoli, ma oggi abbiamo un nemico alle porte, che sa nascondersi fino all’ultimo, fino a quando i danni non saranno più recuperabili.

Consulenza finanziaria – Conflitti di interesse

Tutti i risparmiatori che hanno un’idea di cosa si intende per consulenza finanziaria pensano di avere al loro fianco un “Consulente Finanziario”.

Ma cosa si intende per Consulenza?

Per la Treccani: L’attività del consulente, come prestazione singola o saltuaria di consigli e pareri da parte di un esperto su materie di propria competenza, o come prestazione continuativa e professionale: prestare, offrire la propria c.; c. tecnica, aziendale; c. matrimoniale, prematrimoniale, genetica; ufficio di c. legale, di c. fiscale.

Dalla pagina online del Corriere della sera: Parere di un professionista su una questione di specifica competenza

Da Wikipedia: La consulenza (anche chiamata con il termine inglese consulting) è la professione di un consulente, ovvero una persona che, avendo accertata qualifica in una materia, consiglia e assiste il proprio committente nello svolgimento di cure, atti, pratiche o progetti fornendo o implementando informazioni, pareri o soluzioni attraverso il proprio know how e le proprie capacità di problem solving.

In nessuno dei tre casi, si associa al termine consulenza l’attività di vendita.

Passiamo ora alla definizione di Consulenza Finanziaria.

La Consob, la definisce così: La consulenza in materia di investimenti è un servizio di investimento in cui il consulente, su sua iniziativa o dietro richiesta del cliente, fornisce consigli o raccomandazioni personalizzate circa una o più operazioni relative ad un determinato strumento finanziario.

Chi può prestare consulenza in Italia? Sempre Consob ci viene in aiuto: Possono prestare la consulenza in materia di investimenti gli intermediari, anche tramite promotori finanziari,(da quest’anno Consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede, cfaofs); le persone fisiche (Consulenti Autonomi); e le società in possesso di particolari requisiti di professionalità, onorabilità, indipendenza e solidità patrimoniale iscritti in un apposito albo di consulenti finanziari.

Pertanto in Italia la consulenza può essere prestata:

Da Banche e Sim direttamente o tramite Cfaofs;
Società iscritte in apposito Albo;
Persone fisiche iscritte in apposito Albo.

Banche e Sim possono contemporaneamente essere abilitate alla vendita di prodotti finanziari, pertanto l’attività di consulenza può essere svolta a se stante o abbinata alla vendita di prodotti.
Credo che quest’ultima attività sia quella che molti riconoscono nel loro abituale interlocutore, attività di consulenza volta a scegliere questo o quel prodotto tra quelli a disposizione dell’intermediario.

Banche e Sim possono pertanto offrire servizi di consulenza finanziaria insieme a servizi di negoziazione e collocamento titoli, possono vendere il fondo “tal dei tali” e consigliarlo come investimento ottimale per determinati clienti. In genere dalla vendita del fondo ricavano commissioni, che possono essere sia contestuali alla vendita sia periodiche per il periodo che lo strumento sarà mantenuto dal cliente.

Società e Consulenti autonomi, possono invece esercitare l’attività di consulenza solamente se non effettuano attività di collocamento di prodotti e solamente se vengono retribuiti in via esclusiva dal cliente.

Dalle modalità sopra descritte si evidenziano alcune significative differenze tra le due modalità di consulenza possibile.

Banche e Sim, spesso ricavano remunerazioni dalle attività di vendita e spesso non fanno pagare l’attività di consulenza in maniera esplicita.
Società e Consulenti Autonomi devono sempre far pagare la loro attività visto che hanno scelto di vivere di sola consulenza.

Banche e Sim potrebbe prestare consulenza anche su attività depositate presso altri intermediari, ma a tutt’oggi questa modalità è poco sfruttata anche perché rischierebbe di penalizzare la loro stessa attività; per esempio, come potrebbero dire che esistono intermediari che fanno pagare per attività di negoziazione pochi euro per eseguito e continuare a chiedere anche centinaia di euro per operazioni presso di loro?
Altro esempio, come potrebbero consigliare prodotti di gestione più efficienti e meno costosi e mantenere nel portafoglio del cliente prodotti da loro collocati meno virtuosi?

Presupposto basilare di ogni attività di consulenza è l’assenza di conflitto di interessi per chi la esegue.

Solo chi ha preparazione ed indipendenza di giudizio può dare consigli privi di conflitto di interessi.

Solo chi è indipendente da qualsiasi intermediario può valutare con imparzialità le offerte presenti sul mercato.

Tutti noi abbiamo sentito il refrain dei gestori e dei venditori di fondi comuni ripetere: non bisogna uscire da fondi e gestioni patrimoniali in perdita, è necessario dare a questi prodotti il tempo necessario per sfruttare i cicli di borsa e “nel lungo periodo” si avranno i risultati.

Dimenticano di dire che il lungo periodo consentirà loro di percepire per molti anni commissioni certe, senza aggiungere che per rimanere investiti in un mercato, per esempio nell’azionario italia, ci sono molteplici strumenti e che i costi di questi sono molto diversi tra loro.

Prendendo per buono il consiglio di rimanere investiti per lunghi periodi nei mercati azionari, è preferibile farlo con prodotti che abbiano costi interessanti per il cliente e non con altri che hanno provvigioni elevate per banche e loro addetti commerciali.

Quanto costano i fondi che avete scelto nel 2016?

Nei giorni scorsi mi è capitata sotto gli occhi la classifica dei fondi che nel 2016 hanno realizzato la raccolta più elevata.
Sono per larga parte prodotti venduti presso sportelli bancari, ma di certo anche gli ex “promotori” avranno cavalcato la moda.
Scorrendo velocemente l’elenco si nota subito come per larga parte i prodotti appartengano alle classi obbligazionarie o bilanciate, ma in quest’ultimo caso non bilanciati tradizionali, bensì prodotti con ampia delega al gestore e riconducibili più precisamente ai fondi flessibili o total return.
A prima vista sembrerebbe difficile comprendere il motivo di tanto successo per investimenti in larga parte obbligazionari, in un periodo storico dove i tassi sono ai livelli minimi da decenni, in alcuni casi addirittura ai minimi storici di ogni tempo.
Oltre al rendimento modesto l’utilizzo di questi prodotti provoca altri due effetti negativi, i costi di gestione, ove presenti, riducono ulteriormente i già risicati margini e nel caso di rialzo dei tassi, ipotesi sempre più probabile, si verificheranno ulteriori perdite in conto capitale.
I risparmiatori che li hanno scelti non hanno fatto queste considerazioni ma mi chiedo come possano non averle fatte i bancari o i promotori che li hanno proposti.
Ipotizzo che una piccola parte dei “consulenti bancari” non condividano le mie precedenti previsioni e li hanno collocati pensando viceversa che fossero un ottimo “affare”.
Può essere anche questo… ma continuando a controllare i prodotti presenti nella lista mi sembra strano notare come tutti, ripeto, tutti, abbiano costi di ingresso “camuffati” con una metodica di recente divenuta prassi.
Chiedere al cliente di pagare una commissione di sottoscrizione del 2-3% e spiegare che di conseguenza il capitale investito sarà di 9.800/9.700€ non è semplice.
Il marketing ci viene in aiuto, come avviene?
Semplice: basta chiamare le spese di ingresso in altro modo (spese di collocamento), non far vedere al cliente che il capitale investito è subito decurtato da questo costo e spalmare l’addebito in un tempo predefinito, per esempio 4-5 anni.
Quindi ipotizzando che il Sig. Rossi versi 10.000€ vedrà contabili dove il netto investito sarà di uguale importo, i costi verranno spalmati, in aggiunta alle normali spese di gestione in un tempo predefinito, per esempio 4 anni, quindi ridurranno progressivamente il rendimento e la colpa sarà sempre attribuita ai mercati.
Mancano ancora due piccoli dettagli per capire il successo di questa prassi, il primo, il cliente che nel tempo si dovesse accorgere del meccanismo avrebbe due opzioni entrambe penalizzanti tra le quali districarsi; chiedere il riscatto immediato, ma in questo caso si vedrebbe addebitare la quota di collocamento non ancora addebitata (es. 150€ dopo 1 anno, 100€ dopo il 2 anno, ecc) o lasciare la somma investita; ultimo dettaglio, forse il più importante, la banca che colloca il prodotto registra subito il ricavo del 2-3% delle spese di collocamento.
Come vedete…chi critica il “marketing” non ne conosce appieno le molteplici e miracolose virtù!

Fineco, il mio punto di vista

Sole 24 ore del 01.11: Lettera al risparmiatore, questa settimana Vittorio Carlini analizza Fineco.
Fineco è probabilmente la più conosciuta Banca on line. Oramai ogni grande gruppo ne possiede una, da Pop Milano a Monte Paschi, da Bnl a Banco Popolare.
Il suo business si divide in 3 grandi aree: Banking, cioè raccolta e impiego di liquidità e ricavi dei servizi collegati, bancomat, carte di credito, telepass e via di seguito.
Investing, cioè l’attività di distribuzione di prodotti di risparmio gestito, fondi, sicav e polizze.
Infine il trading, attività di negoziazione per conto dei clienti, il vero e proprio trading on line.
L’articolo è rivolto principalmente ad azionisti presenti e potenziali, a coloro che non sanno se mantenere il titolo dopo il forte rialzo dal collocamento e a chi non sa se il trend potrà proseguire.
In questo post invece mi voglio concentrare su quella parte di notizia che dovrebbe far drizzare le orecchie ai clienti di Fineco e a chi dai promotori di Fineco riceve consigli sui fondi da utilizzare.
Proprio nell’investing infatti la banca punta ad incrementare i margini passando da prodotti scelti autonomamente dai clienti a prodotti “consigliati” e con margini maggiori.
La società dichiara infatti che i margini del settore quando la scelta è del cliente sono di 45 punti (per semplificare potremmo dire lo 0,45% delle masse) mentre l’obiettivo della società è aumentare le soluzioni guidate o consigliate per arrivare ad un margine di 70-75 punti.
I margini del settore sono da dividersi in tre parti, una alla sgr che gestisce il prodotto, una alla banca che lo distribuisce e una parte ai promotori che svolgono l’attività finale,
Avere l’obiettivo di aumentare i margini può essere fatto solo coinvolgendo i promotori, pertanto l’aumento di 0,30% di margini si tradurrà in un aumento dei costi per il cliente finale di ca il doppio. Ne vale la pena?
Comprendo le ragioni di Fineco, chi non vorrebbe aumentare i margini? Ma non comprendo le ragioni dei clienti….perchè dovrei farmi consigliare per far aumentare i margini di Fineco?

Bassi tassi di interesse – Gestioni Separate

La crisi che coinvolge l’Europa da quasi 7 anni, ma che ha interessato con modalità e tempi diversi quasi tutte le aree del pianeta, ha creato una situazione di bassi tassi di interesse mai vista in passato.
Per decenni abbiamo assistito incuriositi ai bassi tassi di interesse del Giappone che ha, direi inutilmente, utilizzato questa leva per ridare slancio all’economia; ora che la situazione è analoga anche in Europa un popolo di risparmiatori come gli Italiani si sentono spaesati, confusi, insoddisfatti.

Gli operatori professionali più scrupolosi che si trovano ad interagire con risparmiatori in cerca di tassi accettabili (secondo loro almeno il 2-3%) devono tutti i giorni spiegare i motivi della situazione e l’impossibilità di ottenere rendimenti attraenti se non a rischio di probabili forti perdite future.
Cosa può fare un risparmiatore che fino ad un paio di anni fa otteneva il 3-4% di interesse con titoli di stato o obbligazioni bancarie di durata non superiore ai 2-3 anni?
Prima cosa da dire, non esistono alternative, non serve a nulla cambiare strumento finanziario, se utilizziamo fondi o etf, (preferisco comunque questi ultimi) il risultato che otterremo sarà vicino allo zero se lo strumento investe in titoli a breve termine, potrà essere leggermente migliore, ma con molti rischi aggiuntivi (perdite che in alcuni periodi potrebbero arrivare anche al 10% in pochi mesi) se utilizzeremo fondi o etf che investono in titoli di lunga durata.

In questo scenario non ci restano che due alternative:

Investire in strumenti a basso rischio e basso rendimento; depositi vincolati bancari, postali e certificati bancari possono offrire rendimenti netti nell’ordine dell’1% l’anno, almeno al momento.

Investire in polizze vita ramo 1 che utilizzano gestioni separate (per brevità GS).

Qui servono alcune informazioni aggiuntive, il prodotto polizza vita con sottostante GS è un prodotto molto comune distribuito da Banche, Poste, Promotori e Assicuratori.
Pur essendo molto comune le condizioni contrattuali possono essere molto differenti tra prodotto e prodotto, tralasciando la possibilità di investire piccole cifre mensili per lunghe durate, mi concentro su versamenti in unica soluzione di almeno 5000 €.
Ci sono prodotti che prevedono costi iniziali che possono arrivare al 3% e oltre ma anche prodotti senza spese di ingresso; ci sono GS con spese di disinvestimento per alcuni anni (cosiddetti tunnel di uscita) ma anche prodotti con possibilità di uscire dopo un mese.
I costi di gestione annui possono andare dallo 0,6% per importi molto elevati all’1,5-1,6% per importi di poche migliaia di €, è evidente che meno costano più rendono.

Detto delle svariate condizioni economiche ci concentriamo ora sugli aspetti che invece le rendono potenzialmente interessanti al momento:

in primo luogo sono prodotti che garantiscono un risultato annuale quindi anche in presenza di un rendimento modesto o nullo non si andrà incontro a perdite in conto capitale.

Utilizzano poi un sistema di calcolo che privilegia la costanza di rendimento al risultato di breve termine ciò avviene perché per legge contabilizzano solo gli interessi incassati e le plus – minus realizzate a differenza dei fondi che invece contabilizzano giorno per giorno anche le plus-minus potenziali.
Questa particolare metodologia le avvantaggia in periodi di tassi bassi ma ha penalizzato i rendimenti nella fase di calo.

Ultimo non irrilevante vantaggio è l’assenza, almeno al momento, dell’imposta di bollo dello 0,20% annua che invece grava su investimenti in titoli, obbligazioni, fondi ed etf.

Fondi quotati in Borsa

Dalla scorsa settimana Borsa Italiana consente di negoziare Fondi Comuni aperti.
Al di là degli esigui scambi dei primi giorni, per ora una sola Sicav ha completato l’iter di quotazione, l’iniziativa è una di quelle potenzialmente esplosive per l’evoluzione del sistema bancario e finanziario del nostro paese.
I vantaggi per i risparmiatori sono sia immediati che di lungo periodo.
Tra quelli immediati due sono quelli più rilevanti:
I Fondi quotati saranno identici a quelli distribuiti con altre modalità, in banca o attraverso promotori, ma avranno costi di gestione più bassi in quanto non riconosceranno commissioni ai collocatori.
Altro vantaggio sarà la possibilità di trasferire il proprio investimento in qualsiasi banca evitando come avviene ora di dover disinvestire fondi della Banca A per riacquistarli nella Banca di destinazione ogni qualvolta si decida di cambiare istituto di credito.
Oltre a questi primi rilevanti vantaggi nel tempo la diffusione di questa modalità di acquisto porterà all’aumento dell’offerta di consulenza indipendente.
I risparmiatori infatti avranno sempre necessità di professionisti in grado di valutare gli strumenti presenti nei mercati ma questa esigenza si scontrerà con la necessità degli intermediari di vedere riconosciuto un valore al proprio operato quindi anche banche e reti di promotori per evitare di perdere quote di mercato concentreranno l’attenzione più sull’attività di consulenza a pagamento piuttosto che sull’attività di vendita con retrocessione di commissioni.
L’aumento dell’offerta di consulenza indipendente (indipendente cioè da conflitti di interesse del proponente) porterà di certo alla riduzione dei compensi e all’ampliamento dei soggetti proponenti.

Commissariamento Banca Marche

Così recita il Testo Unico Bancario in tema di commissariamento:

 

TITOLO IV
Disciplina delle crisi
Capo I
Banche
Sezione I
Amministrazione straordinaria

Art. 70 – (Provvedimento)
1. Il Ministro del tesoro, su proposta della Banca d’Italia, può disporre con decreto lo scioglimento degli organi con funzioni di amministrazione e di controllo delle banche quando:
a) risultino gravi irregolarità nell’amministrazione, ovvero gravi violazioni delle disposizioni legislative, amministrative o statutarie che regolano l’attività della banca;
b) siano previste gravi perdite del patrimonio;
c) lo scioglimento sia richiesto con istanza motivata dagli organi amministrativi ovvero dall’assemblea straordinaria.
2. Le funzioni delle assemblee e degli altri organi diversi da quelli indicati nel comma 1 sono sospese per effetto del provvedimento di amministrazione straordinaria, salvo quanto previsto dall’articolo 72, comma 6.
3. Il decreto del Ministro del tesoro e la proposta della Banca d’Italia sono comunicati dai commissari straordinari agli interessati, che ne facciano richiesta, non prima dell’insediamento ai sensi dell’articolo 73(*) .
4. Il decreto del Ministro del tesoro è pubblicato per estratto nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.
5. L’amministrazione straordinaria dura un anno dalla data di emanazione del decreto previsto dal comma 1, salvo che il decreto preveda un termine più breve o che la Banca d’Italia ne autorizzi la chiusura anticipata. In casi eccezionali la procedura può essere prorogata, per un periodo non superiore a sei mesi, con il medesimo procedimento indicato nel comma 1; si applicano in quanto compatibili i commi 3 e 4.
6. La Banca d’Italia può disporre proroghe non superiori a due mesi del termine della procedura, anche se prorogato ai sensi del comma 5, per gli adempimenti connessi alla chiusura della procedura quando le relative modalità di esecuzione siano state già approvate dalla medesima Banca d’Italia.
7. Alle banche non si applicano il titolo IV della legge fallimentare e l’articolo 2409 del codice civile. Se vi è fondato sospetto di gravi irregolarità nell’adempimento dei doveri degli amministratori e dei sindaci di banche, i soci che rappresentano il ventesimo del capitale sociale, ovvero il cinquantesimo in caso di banche con azioni quotate in borsa, possono denunciare i fatti alla Banca d’Italia, che decide con provvedimento motivato.

 

Da quanto prevede il TUB le motivazioni del commissariamento di Banca Marche dipendono dalle gravi perdite degli ultimi 2 esercizi.

E’ opportuno fare delle precisazioni:

La breve durata del Commissariamento (ad oggi sono previsti 2 mesi) lascia pensare ad una scelta di prudenza di BI e Ministero del Tesoro piuttosto che una vera decapitazione dei vertici di Banca Marche.

La BI seguiva da tempo la Banca, anche dall’interno con un’azione ispettiva che deve aver guidato le prudenziali svalutazioni del crediti, ciò nonostante la volontà di sospendere temporaneamente Il consiglio di Amministrazione e il Collegio Sindacale sembra finalizzato ad avere chiarezza e campo libero nel controllo delle attività poste in essere dopo la sostituzione del precedente Direttore Generale.

Non hanno certo giovato all’istituto le dichiarazioni di Consiglieri uscenti che hanno rimproverato al resto del Consiglio e di conseguenza alle Fondazioni, un’attività di resistenza e di rinvio rispetto alle iniziative di rilancio già individuate.

Per ultimo, un compito espressamente affidato ai Commissari, sembrerebbe quello di far chiarezza sull’importo e i tempi del prossimo aumento di capitale, aumento di capitale che chiaramente è il “negoziato” principale da portare avanti e nel quale negoziato il CA attuale sembra aver perso ogni attività di indirizzo e di proposta.

 

Quanto sopra da l’idea di Banca che versa in acque agitate, ma soprattutto priva di controllo.

Tutta la gestione ordinaria e parte delle operazioni di ristrutturazione e rilancio sono delegate al nuovo Dg, ma nessuna delega gli è stata affidata riguardo alla ricapitalizzazione.

Questa è la situazione della Banca da quanto si apprende dagli organi di informazione; veniamo ora alle scelte dei clienti, alcuni sono palesemente disorientati e timorosi rispetto alla conservazione dei loro risparmi altri sembrano narcotizzati e indifferenti a qualsiasi notizia.

Mi sento di rassicurare tutti i clienti riguardo alle loro disponibilità in BM.

Nessun problema riguarda i titoli di terzi depositati presso la Banca, siano essi Titoli di Stato, Fondi, Polizze, Azioni e obbligazioni di altre banche .

Diverso ma altrettanto rassicurante il caso dei correntisti e di coloro che hanno finanziato la banca con Certificati di deposito, libretti di risparmio o obbligazioni, non vedo rischi di nessun tipo, se non quello di veder cambiare le insegne della loro filiale di riferimento prima o poi…

Non mi sento di rassicurare gli azionisti, ma presuppongo che abbiano acquistato le azioni sapendo che si trattasse del titolo che rappresenta il capitale sociale quindi le sue sorti sono legate nel bene e nel male alla salute e alle prospettive future dell’azienda che rappresenta. In questo momento la perdita in conto capitale è pesante per tutti, quindi non credo valga la pena prendere decisioni al riguardo…. avete perso molto, tanto vale aspettare e sperare in nuovi e “fortunati” sviluppi.

Un’ultimo accenno lo rivolgo alle imprese; nelle Marche esistono ancora piccole e medie imprese che sono finanziate in tutto o in larga parte da BM, il consiglio che mi sento di dar loro è di guardarsi intorno, cominciare a diversificare anche le fonti di finanziamento per non dover fare queste attività dopo un rifiuto di BM ad accendere nuovi finanziamenti o a rinnovare quelli in essere; avere un solo Finanziatore può essere pericoloso come avere un solo cliente!

Consulenza e trading

Una delle prime domande che mi fanno i potenziali clienti è quale rapporto c’è tra la consulenza e il trading:

Faremo trading spesso o di tanto in tanto?

Se ci capita l’occasione, faremo operazioni di breve e brevissima durata?

Una parte piccola del mio portafoglio la vorrei destinare al trading, può darmi indicazioni?

Nel modo di pensare comune un Consulente finanziario è colui che sa dove andrà il mercato pertanto perché non sfruttare le situazioni?

Il mio approccio alla consulenza è invece sostanzialmente diverso.

Secondo alcuni colleghi potremmo definirlo da Pianificatore Finanziario.

Tralasciamo la distinzione tra Pianificatore Finanziario e CI (non amo molto la definizione Pianificatore finanziario)  la tratterò in futuro, vediamo come comportarci nei confronti del trading.

Iniziamo col dire che possiamo effettuare trading con moltissimi strumenti, dai più comuni quali azioni e obbligazioni ai più complessi e rischiosi, i derivati.

Tralascio volutamente di parlare di questi ultimi, si capirà presto perché.

Per fare trading è necessario per prima cosa quantificare quanta parte del portafoglio vogliamo dedicare ad operazioni  “speculative” e quanta parte destinare ad investimenti di medio lungo periodo.

Per decidere su quali strumenti effettuare trading è utile conoscere dei metodi di analisi, chiamati comunemente tecniche, che possono essere usate da sole o in combinazione tra loro, vediamole brevemente:

– “l’analisi tecnica”  è  lo studio dell’andamento dei prezzi dei mercati finanziari nel tempo, allo scopo di prevederne l’andamento futuro;

-“l’analisi fondamentale” è lo studio dei dati economici dell’azienda, del suo settore di appartenenza e delle fasi congiunturali per valutare quali titoli sono a sconto e quali sono cari.

-“l’analisi quantitativa o algoritmica” è la ricerca di modelli matematici complessi che possano in maniera automatica e il più possibile neutra fornire segnali di sottovalutazione o sopravvalutazione di un’attività economica. In genere è basata sia su dati economici quali fatturati, margini, crescita, sia su alcuni dati riguardanti gli scambi nei mercati, si tende in questa tecnica ad eliminare qualsiasi valutazione soggettiva .

Qualsiasi attività di trading presuppone basilari precauzioni:

stabilire il limite alle perdite delle singole operazioni e in totale;

operare con una certa regolarità pur mantenendo sangue freddo nei momenti di forte turbolenza;

utilizzare un intermediario affidabile con bassi costi di negoziazione;

conoscere in maniera ottimale gli strumenti oggetto del trading, (motivo per cui sconsiglio i non esperti all’utilizzo di derivati).

Nella mia attività di consulenza vengono a volte inseriti singoli titoli azionari selezionati sulla base dei dati fondamentali, lo scopo è quello di individuare alcune evidenti situazioni di sottovalutazione o agganciare trend di mercato considerati ancora interessanti, con strumenti fiscalmente più efficienti dei fondi o degli etf.

Non fornisco invece attività di consulenza a chi chiede esclusivamente di focalizzarsi sul trading, questa scelta, come le altre che prendo nella mia attività, è dettata dalla convinzione che è tecnicamente impossibile fornire adeguate informazioni con precisione e tempestività, requisiti essenziali per il successo dell’attività di trading.

Chiarito il mio modo di operare riguardo al trading vi parlo ora di una strategia di investimento che sto seguendo da più di 2 anni.

Ho deciso di monitorare un portafoglio di sole azioni italiane presenti nel Ftse Mib (in seguito denominato Studio Ftse Mib),  i titoli vengono scelti  partendo dall’analisi tecnica, viene implementata con indicatori di analisi fondamentale e fornisce una selezione che settimanalmente viene comunicata ai clienti.

L’obiettivo del portafoglio è sovraperformare nel tempo l’indice Ftse mib, soprattutto riducendo la volatilità e le forti perdite, per fare questo si utilizza una composizione flessibile del portafoglio che può essere investito dallo zero % in alcuni periodi al 100% in altri.

Ci sono delle limitazioni all’uso di questo portafoglio:

Può essere fornito solamente a clienti che utilizzano la consulenza dello studio per più dell’80% delle proprie risorse;

Per utilizzare il portafoglio è necessario avere a disposizione almeno 30.000 €;

Questo particolare portafoglio non può pesare + del 20% sul totale delle somme detenute dal cliente;

Le operazioni consigliate devono essere realizzate dai clienti entro la giornata della mail, nel caso di impossibilità ad operare in tempi rapidi si sconsiglia di utilizzare questa particolare attività.

Studio Ftse Mib prevede l’investimento in 10 titoli al massimo, mai più di due bancari, in questi giorni è investito per il 90%.

Dall’inizio, 18.10.2010, ha realizzato una performance totale del 39,28%, rispetto al -23,61% dell’indice Ftse Mib e rispetto al -5,08% dell’indice Fideuram Azionari Italia, riuscendo a sovraperformare nelle fasi di ribasso e mantenere buoni risultati nelle fasi di rialzo; il max Down draw nel periodo è pari al 9,30%, per l’indice il valore si attesta al 34,97%.

I risultati ottenuti sono al lordo delle tasse e delle commissioni di negoziazione che ogni investitore dovrà calcolare in proprio in base all’intermediario utilizzato.

Settimanalmente fornirò, nella pagina Trading System, la quota di titoli investita, per esempio 90% come in questa settimana, e il rendimento del portafoglio dall’inizio dell’anno. Una volta al mese circa sarà presente anche il grafico del portafoglio dalla partenza.

COMPARAZIONE MODELLO-S. E. FTSE MIB PERIODO

COMPARAZIONE MODELLO-S. E. FTSE MIB ANNUO